Dal doppio significato della definizione di organi vitali dell’albero, una possibile indicazione linguistica, ma anche progettuale, sullo sviluppo di nuovi percorsi per la sostenibilità nell’industria del legno.

Chi all’uomo ha fatto credere che quel mirabile movimento della volta celeste, la luce eterna di quelle fiaccole rotanti così arditamente sul suo capo, i moti spaventosi di quel mare infinito siano stati determinati e perdurino per tanti secoli per la sua utilità e il suo servizio? Si può immaginare qualcosa di tanto ridicolo quanto che questa miserabile e meschina creatura, che non è neppure padrona di sé stessa, esposta alle ingiurie di tutte le cose, si dica padrona e signora dell’Universo? Del quale non è in suo potere conoscere la minima parte, tanto meno governarla?

Michel de Montaigne, 1575

Da oltre vent’anni come scrittori e progettisti combattiamo per trasformare l’astrusa, imprecisa, obsoleta parola “sostenibilità” in più alti, incisivi e appassionanti significanti dell’armonia con la Natura: con altre, più appropriate parole e schemi di comportamento: per creare discorsi e percorsi che conducano – se non a una improbabile risoluzione di problemi ambientali ormai gravissimi – almeno a una conoscenza meno superficiale e più “laica” di cosa sia e come funzioni realmente il mondo naturale grazie a cui viviamo, ma per cui non sembriamo capaci di fare mai abbastanza perché (ci) sopravviva.

Riavvicinarsi anche linguisticamente alla Natura da cui ancora veniamo implica certamente una buona dose di ottimismo e progettualità utopista, anche solo pensando alle parole del filosofo Michel de Montaigne sull’enormità della distanza tra l’aspirazione umana al controllo del mondo, forse dell’Universo, e la loro dimensione concreta, per molti aspetti impensabile per il genere umano: eppure pare rimanere un obbligo etico quello di tentare una ridefinizione della questione ecologica con idee, azioni e parole adatte ai nostri tempi drammatici.

formafantasma cambio
Copertina del volume Cambio, Formafantasma, Centro Pecci, Prato 2021

Identificare metaforicamente alcuni dei temi di questa questione con gli stessi organi naturali degli alberi pare un modo diretto, molto esplicito e quasi – perché no? – Pop di oltrepassare la molto teorica “sostenibilità” per arrivare più direttamente al nocciolo delle problematiche ambientali.  Così non sembra un caso che il nuovo programma di ricerca, discussione e azione promosso da Fondazione Guglielmo Giordano con Istituto Nazionale di Architettura (IN/ARCH) porti il titolo SEED: il seme di una conoscenza e di un approfondimento multidisciplinare da cui possa germinare – non solo tra architetti e progettisti, ma tra il più vasto pubblico – un nuovo livello di coscienza diffusa sull’urgenza/emergenza di un riequilibrio delle risorse.

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Su questa strada di ridefinizione semantica di una problematica di cause, effetti e rimedi, tanto complessa quanto vitale come la questione di una pedagogia dell’equilibrio ambientale, da qualche tempo si è mosso anche lo studio italo-olandese FormaFantasma – singolare combinazione tra operatori di produzione artistica e professionisti del product design – che ha iniziato un ambizioso progetto all’incrocio tra scienza e indagine sociologica, sotto il segno della parola Cambio.

Formafantasma, “Saggio Visivo”, still da video / Green screen nel bosco del Chignolo, Montemerlo, Lombardia: dalla mostra Cambio, Formafantasma, Centro Pecci, Prato 2021

Partita nel 2021 dalla Serpentine Gallery di Londra, approdata successivamente in Italia al Museo Pecci di Prato e poi trasferita nel 2022 al Museum für Gestaltung di Zurigo, la mostra Cambio ha per titolo il nome della membrana che riveste il tronco degli alberi con la funzione di generare all’interno il legno (xilema) e all’esterno la corteccia (floema): ma è anche ovviamente omonima di quel cambiamento cui tutto il mondo aspira per sottrarsi al degrado globale – a partire dall’ambiente naturale – iniziato con l’era che ormai è diventato comune definire Antropocene.

Titolo/manifesto dunque programmatico di una ricerca delle radici profonde di una nuova cultura per così dire botanico/ambientalista, ancora in fieri e che ha avuto in Italia uno sviluppo tanto veloce quanto vorticoso e ambiguo proprio per la sua genericità, in mancanza di approfondimenti.

Se per esempio, da un lato industrie come Listone Giordano ormai da decenni attuano pratiche concrete di rispetto dell’ambiente nello sviluppo di tutta la loro produzione, dall’altro il mantra Piantare Alberi è facile slogan per gli attori più svariati della scena sociale ed economica: ad iniziare da quei politici italiani che – a scala nazionale e/o locale – in assenza di concreti programmi governativi che possano almeno in parte ricostruire equilibri ambientali, soprattutto nelle zone urbane, fantasticano la piantagione di milioni di alberi: slogan regolarmente dimenticati il giorno dopo il risultato elettorale per i candidati più antichi e smaliziati: o disattese, magari trascurando di dare acqua ai giovanissimi alberi piantati come a Milano col piano ForestaMi, tanto ambizioso quanto deludente sul piano delle concrete realizzazioni.

Comunità indigena Comeyafù, schizzo della comunità Yucuma, fiume Caquetà (Amazzonia Colombiana), 1999

Il lavoro che Formafantasma ha fatto quindi risulta interessante e a suo modo dotato di una qualità scientifica e politica – in senso positivo – perché piuttosto che essere rivendicazione velleitaria di un impossibile “ritorno alla natura” in termini quantitativi iperbolici (“3 milioni di nuovi alberi a Milano entro il 2030!”,“Un milione di nuovi alberi piantati ogni anno in Italia!”) si preoccupa di trovare le ragioni archetipiche che fanno degli alberi uno dei possibili agenti della conservazione delle condizioni climatiche essenziali alla continuità della vita sulla terra, prima che sia troppo tardi.

E qui torna una seconda coincidenza linguistica perché – oltre l’esposizione poco emozionale e molto asettica, come nello stile di Formafantasma – rimane come testimonianza e primo strumento della ricerca proprio un libro, sinonimo del floema ovvero il complesso di tessuti vegetali viventi che nell’albero hanno diverse funzioni: trasporto, conduzione, riserva dei nutrienti e sostegno alla pianta legnosa.

Analogamente, il Libro/Cambio di Formafantasma è a sua volta approfondimento scientifico e “conduttore” di informazioni: libro dunque come appropriata metafora del progetto ambientalmente responsabile, che necessita di alimentarsi in continuazione di studi, scoperte ed esperienze multidisciplinari, come l’albero stesso necessita dei nutrienti elaborati dalla sua stessa intima struttura organica.

Magnolia Grandiflora, incisione di Mark Catesby da un dipinto di Georg Ehret, 1737

Così nelle interviste di cui è soprattutto costituito il volume – pubblicato in inglese dalla Serpentine Gallery di Londra con Verlag der Buchhandlung Walter und Franz König e in italiano dal Centro Pecci di Prato+Nero – si alternano racconti e analisi di scienziati, esperti della conservazione, politici, filosofi, paesaggisti, botanici, fino ai produttori e ai responsabili dell’approvvigionamento e produzione in legno di betulla per Artek, l’azienda pioniera del design moderno con i famosissimi pezzi di Alvar e Aino Alto. Senza trascurare una discesa nell’antropologia “geopolitica” delle foreste Amazzoniche, in un dialogo con militanti indigeni (del Rio Parà Paranà, in Peru) che collegano la lotta per la difesa della foresta residua all’esoterismo di antiche tradizioni di popolazioni come i Jaguares de Yuruparí (Giaguari di Yuruparí): per cui un grande albero primigenio, la sacra ceiba, cadendo, avrebbe generato l’Amazzonia tutta.

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Senza cadere troppo nell’esoterismo delle seconde vite delle piante (Ceiba pentandra, Ceiba insignis e Ceiba speciosa sono ingredienti dell’infuso allucinogeno Ayahuasca, preparato da sciamani dell’Amazzonia e della Cordigliera delle Ande per l’allargamento della coscienza e il contatto col Trascendente), si delinea attraverso questo Libro/Cambio una rete globale di competenze, iniziative, progetti “militanti” che lavorano – spesso silenziosamente ma con intensa dedizione utopica –  alla conservazione dell’equilibrio tra le necessità di impiego industriale (o artigianale) del legno e la conservazione di identità e qualità di boschi e foreste.

Magnolia espiantata nella distruzione del parco pubblico Bassini, Milano 2020, ripiantata (2022) in una vicina area verde

Su questo scenario progressivo, rispetto all’incoscienza ambientale durata troppo a lungo e che ancora trova sostegno nel negazionismo anche ad altissimi livelli politici (il Brasile di Bolsonaro), aleggia lo spettro dell’estinzione della natura, a iniziare da quell’estrema rarefazione di boschi e foreste, la morìa di alberi Waldsterben , dovuta non solo al disboscamento scellerato con obiettivi predatori (come nella foresta Amazzonica) ma anche alla crescente siccità conseguenza riscaldamento globale, contro cui non molto possono anche la Natura naturans degli alberi stessi, i loro meccanismi straordinariamente capaci di adattarsi a condizioni anche molto difficili.

Come ben chiarisce Frederic Lens, ricercatore senior al Naturalis Biodiversity Center dell’ Università di Leiden (NL):

(…) quando il clima cambia come in questa fase, il mutamento è troppo veloce perché gli alberi possano reagire. Un organismo non può cambiare struttura cellulare (nel nostro caso, l’anatomia del legno) durante la propria vita, nemmeno nel caso degli alberi che possono vivere fino a 5.000 anni. Si tratta invece di un processo molto graduale, dettato dalla selezione naturale, in un arco di tempo lunghissimo. Gli alberi si tramandano segnali ambientali e modelli evolutivi per milioni di anni, mentre il cambiamento climatico nell’ultimo mezzo secolo è accelerato in modo parossistico: si capisce quindi immediatamente che non c’è confronto di scala temporale tra i due fenomeni.

Boschi in Val di Fiemme, distrutti dalla tempesta Vaia (2019) per un totale di 42 milioni di alberi abbattuti; da mostra Cambio, Formafantasma_2020.Photo_C41_4

Una realtà così cruda da fare giustizia anche della troppo diffusa retorica sulla resilienza, l’illusione che cedendo all’impatto degli eventi negativi – naturali o artificiali – individui, società e natura stessa possano perpetuare chissà quale forma di sopravvivenza: in condizioni che in mancanza di azioni preventive e propositive non saranno mai migliori, ma semmai peggiori, degli standard cui ci hanno abituato almeno mezzo secolo di welfare e di coscienza ambientale.

Pinus Pinaster, Daniel Mackenzie Inc Georg Ehret Pinx, 1803 24

Quel che è davvero necessario – sembra dichiarare invece esplicitamente questo libro – è un cambio radicale di visione, comportamento e attitudine filosofica verso una Natura che continua a concedere al genere Homo Sapiens immensi benefici, malgrado le sue offese.

Con un piccolo problema: non è affatto chiaro ancora per quanto.


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