Lo scrittore Giampiero Mughini mette tautologicamente in pubblico in un libro la sua nota passione per libri (tutti) e molti oggetti (di design, collezionati in un’esplorazione che dura come tutta l’age d’or del design in Italia).
Con alcune sorprese per chi qui scrive.
Qualunque libro tu apra, troverai esattamente il passo che cerchi
Walter Friedlaender
Succede di incontrare nel giro di pochi giorni due libri che – essendone chi scrive del tutto all’oscuro – raccontano più o meno importanti sue tranches de vie, o meglio tranches de travail. Ritorna così alla mente la frase dello storico dell’arte Friedlaender sulla magia profetica dei libri: con la differenza che qui il passo, la citazione, non sono affatto cercati ma del tutto inattesi.
Quando dal gallerista e scrittore Massimo Minini arriva l’invito alla presentazione del suo grande, nuovo volume densissimo di ricordi e racconti, semplicemente intitolato “Scritti” 11) e dopo il suo saluto ellittico Minini suggerisce “guarda un po’ nelle pagine degli architetti”, tra un Mendini e un Sottsass compare il suo bellissimo scritto “Un vaso da fiori non pensa al domani”, regalato per il catalogo della mostra “Nuove forme e colori del vuoto” allo Spazio Arena (Listone Giordano) di Milano: la più grande antologica dei vasi disegnati da me e Gabi Faeh e da lei prodotti nel corso degli anni.
Ma sorpresa forse più grande è quella di trovare alle pagine 114 e 115 dell’appena uscito volume di Giampiero Mughini (Il Muggenheim. Quel che resta di una vita 2)) l’esteso riferimento all’ormai introvabile mio libro “Bibbia verde” – come veniva per un certo periodo chiamato dall’entourage della nuova Danese di Carlotta De Bevilacqua, succeduta a Bruno Danese e Jacqueline Vodoz nella gestione del mitologico marchio Danese Milano.
È noto a tutti gli appassionati e naturalmente ai molti collezionisti degli originali oggetti ed edizioni di Bruno Munari ed Enzo Mari che quel volume è in pratica anche un catalogue raisonné «ouvrage qui dresse l’inventaire le plus complet possible des œuvres peintes, dessinées, sculptées ou gravées d’un même artiste », nel caso specifico non di un medesimo artista, ma di un medesimo produttore di opere di artisti.
Infatti il libro si chiama Arte Industriale. Gioco Oggetto Pensiero. Il disegno della produzione Danese 3), titolo in parte ermetico ma scelto dall’editore Arcadia forse memore di quel Contenir, Regarder, Jouer con cui la produzione Danese era stata esposta circa 18 anni prima al Louvre nel Musée des arts décoratifs.
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E pure Arte Industriale non è solo testo di riferimento per musei e collezionisti, ma esso stesso oggetto da collezione: per il semplice fatto che all’interno contiene un multiplo – ovvero uno dei “Libri Illeggibili” di Munari – da lui appositamente disegnato.
Appunto, anche per questo su quel libro si sofferma Mughini, in più di un passaggio del suo Muggenheim – con una descrizione minuziosa – tra il definirmi “un allievo di Mari nato a Roma nel 1995” (vero, al 95%) e l’ennesimo omaggio a Munari (anche questo vero, ma all’80%) e ai suoi “Libri Illeggibili”: “… cui Munari teneva tanto da allegare un suo inserto grafico originale intitolato Libro illeggibile al libro di Stefano Casciani a fare da commento visuale ai suoi Prelibri. (…) Un inserto – cinque pagine recto/verso in carta trasparente sulle quali saettava una riga nera e talvolta grigia, talvolta più sottile e talvolta più spessa – (…) con una copertina tipografica in bianco e nero su carta gialla e un punto metallico a far da legatura.
Con il titolo Libro illeggibile 1988-2 Giorgio Maffei lo scheda alla pagina del suo Munari. I libri. Se ricordo bene, la copia di mia proprietà di questa tiratura me la fornì lo stesso Casciani una volta che lo incontrai a Roma in occasione di una mostra di libri di Munari nella libreria antiquaria Ardengo.”
(Questa versione dei fatti è ben scritta ma non precisissima, come andarono veramente le cose lo racconterò magari un giorno a Mughini in una delle trattorie romane,, dove andammo un altro giorno insieme a Massimiliano della libreria Ardengo)
Con tutto il suo parlare anche – moltissimo – di libri, il libro di Mughini finissimo collezionista è alla fine un prolungato excursus tra memorie personali, dichiarazioni d’amore per artisti/designer/oggetti (da Ico Parisi a Gaetano Pesce, a Richard Prince) e commenti sulla situazione politica degli ultimi 50 anni “vissuti pericolosamente” ovvero con il caratteristico cinismo – o forse lucidità – che distingue un socialista, o ex-socialista, o chiunque abbia partecipato o pure solo assistito alle vicende politiche del progressismo in Italia, destinate a una fine abbastanza ingloriosa, o così almeno pare a terzo millennio (anzi, terzo decennio del terzo millennio) inoltrato.
Proprio dal linguaggio narrativo e al tempo stesso analitico che Mughini sa ben usare, abituato ai ritmi del giornale quotidiano (o almeno quello che esso era fino ad alcuni anni fa), insieme alla coscienza del tempo passato e delle trasformazioni che hanno visto l’esistenza del design in Italia e dell’Italia stessa, da questi fattori tutti insieme e anche in contrasto tra loro, cui si aggiunge una vena di ironia e sfottò tutta romano/siculo/sudista – si percepisce la sensazione che il design italiano sia passato alla storia, in molti sensi e per molte ragioni.
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Letteralmente entrato nella storia, perché da una parte nessuna analisi della cultura visiva italiana può tralasciare il fatto che i designer (architetti, artisti e chiunque viva di design, per semplificare) hanno dato forma a moltissimi oggetti essenziali che ora per comodità o pigrizia – vengono chiamati “iconici”, ma che quando sono nati ben pochi – a iniziare dai designer stessi e dai produttori – pensavano come “icone” ovvero, per definizione, cose da venerare rispettosamente a debita distanza, con un po’ di timorata reverenza o timore reverenziale.
Anche a rileggere le tante storie di persone e opere nel lungo racconto di Mughini, si direbbe che forse il segreto per creare qualcosa che veramente valga negli anni, o nei decenni, o addirittura entri nella storia – sia il qualcosa un libro, o un oggetto o magari un’architettura – sia meglio non pensare affatto che possa durare così tanto: ma che nella sua essenza e presenza l’autore abbia concentrato il significato di un suo pensiero, quello sì senza tempo o comunque sicuramente destinato a durare di più, a volte molto di più della stessa esistenza dell’autore.
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