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Alla scoperta dell’intimo legame esistente tra genio e naturalezza. Il racconto di una serata indimenticabile al Solomon Guggenheim di New York tra arte, musica, design e architettura.

Tutto ebbe inizio nella Grande Mela la notte del 30 marzo 2006. Al centro della Rotunda del Solomon Guggenheim Museum gli ottantotto tasti del Fazioli Gran Coda e le dita di Danilo Rea erano una cosa sola. I trecento ospiti accreditati alla serata finale di Umbria Jazz a New York prima trattennero il respiro, poi sciolsero nella penombra i propri corpi per fare ancora meno rumore. Rimase solo il nero di un uomo immerso nel suo pianoforte: due talenti naturali fusi insieme.

Uno straordinario artista del piano jazz dalle mani prodigiose e uno straordinario strumento costruito, con il legno che fu di Stradivari, grazie al prodigio di mani artigiane. Entrambi italiani, entrambi ricercatissimi in tutto il mondo. Due autentici distillati di genialità. E infatti il miracolo si compì. Sette note soltanto si moltiplicarono all’infinito, sparigliate e poi ricomposte in miliardi di combinazioni diverse come le dieci cifre all’affannosa rincorsa della stringa risolutiva del codice Enigma.

parquet
Natural Genius – Solomon Guggenheim NYC – 2008

Infine si misero tutte in fila ordinatamente, quasi richiamate da un irresistibile pifferaio magico, e iniziarono a risalire leggere verso l’altissimo lucernaio stellato, avvitandosi lungo le spire bianche disegnate da Frank Lloyd Wright. La musica di “Lirico” continuò così a dipanarsi come un nastro di vapore per un tempo indefinibile. Sfilarono in ordine sparso Giacomo Puccini tra Sansone e Dalila, Giuseppe Verdi a braccetto con Mimì, Pietro Mascagni in cavalleresco duello con Leonard Bernstein. Concluse lo stravagante corteo d’arie, il volo planato di una rondine da sogno. Che fece primavera. E difatti quella notte iniziò una nuova stagione per Listone Giordano, così come per ognuno dei presenti.

In un attimo era apparso chiarissimo a tutti il significato autentico e l’intimo legame esistente tra quelle due parole che avevano dato titolo alla serata: “Natural Genius”. E questo per averlo visto ciascuno con i propri occhi, ascoltato con le proprie orecchie, ma soprattutto avvertito distintamente scorrere sulla propria pelle. Un’espressione non traducibile semplicemente come “talento naturale”, ma qualcosa di ancora più unico e speciale: un nome di battesimo.


Il nome di quella sorprendente miscela ottenibile sminuzzando nello stesso crogiolo semplici elementi della natura con il tocco vitalizzante dell’immaginazione e genialità umana. Un elisir cristallino ricavabile però solo soppesando abilmente i diversi ingredienti secondo una singolarissima formula alchemica capace di trasformare il tutto in meravigliosamente altro.

Il genio è un puro dono della natura: ciò che produce è opera di un istante. Il gusto è il prodotto dello studio e del tempo; dipende dalla conoscenza di una quantità di regole stabilite o presupposte e produce bellezze soltanto convenzionali. Perché una cosa sia bella, secondo le regole del gusto, bisogna che sia elegante, rifinita, ben lavorata, senza sembrarlo; per essere geniale, occorre a volte che sia trascurata, che abbia un aspetto irregolare, scabro, selvaggio.


J. F. Saint-Lambert

Il design fa lo stesso. Fu così che Natural Genius divenne progetto culturale della Fondazione Guglielmo Giordano. Sulle tracce di quel sottile filo rosso che unisce la genialità dei grandi maestri del passato a quella dei contemporanei, furono invitati cinque progettisti dalle storie personali e sensibilità anche molto diverse tra loro: Michele De Lucchi, Massimo Iosa Ghini, Matteo Nunziati, Enzo Calabrese, Marco Tortoioli Ricci. Per tutti la stessa domanda: in che maniera una superficie in legno può assumere lo spirito del nostro tempo? Il tema in realtà non era semplice.

Progettare in due sole dimensioni, anziché tre – cioè rigidamente imprigionati nel piano anziché liberi di muoversi nello spazio – significava rinunciare a un vitale grado di espressione. E accettare dunque un pesante vincolo in più. Si trattava inoltre di confrontarsi con un materiale che accompagna da sempre la nostra civiltà, già lavorato attraverso i secoli in infinite modalità diverse dalle mani dell’uomo e, soprattutto, già magistralmente disegnato dalla natura nelle sue mirabili venature.

La sfida poteva intimorire chiunque. Ma la frase “ormai qui non c’è più nulla da inventare” non appartiene fortunatamente al repertorio di chi pratica quella severa disciplina che è il design. E la sfida culturale dunque fu colta. I cinque progetti furono presentati in mostra a Milano, e il racconto delle diverse ideazioni affidate ai soli schizzi degli autori in dialogo inconsueto con la voce narrante di un’improvvisazione musicale d’eccezione: Danilo Rea, piano solo. E il cerchio si chiuse così magicamente nello stesso punto dove aveva avuto origine. Non per segnare una conclusione, in realtà, ma un inizio.

Natural Genius è così diventata nel tempo anche una collezione di parquet dinamica di Listone Giordano, che ha conosciuto successo della critica e del pubblico oltre ogni prevedibile aspettativa. Di fatto ha inaugurato il rapporto organico e stabile tra design e pavimentazioni in legno, che sorprendentemente avevano avuto in precedenza nulla, o comunque scarsissima, frequentazione.

Patricia Urquiola, Michele De Lucchi, Daniele Lago

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