Un’artista versatile e poliedrica, Marianne Brandt, prima di diventare l’icona ante-litteram del laboratorio del metallo alla scuola Bauhaus di Dessau, fu studentessa di Belle Arti alla famosa accademia di Weimar, luogo di origine del movimento stesso (Se a Weimar il laboratorio-officina si prediligeva piccole produzione e numeri di pezzi limitati, fedele al carattere “artigianale” della prima fase evolutiva della scuola, candelabri e lampadari a bracci erano al centro di estenuanti dissertazioni sulla mistica della Luce e sul valore simbolico delle candele del tempio, in questa nuova fase progettuale l’interesse si era acceso sul tema della chiarezza razionale e della trasparenza).

“Chiunque mi ami deve lavorare per me.”

 László Moholy-Nagy su Marianne Brandt

Si diploma in scultura nel 1918 per poi intraprendere una movimentata vita da “pittrice”, che la vede girovagare per alcuni anni tra Oslo, la Francia e Parigi (dove frequenta gli ambienti Avant Garde più sensibili al tema dell’arte al femminile, grazie all’ascesa del movimento Garconnes – una prima linea femminista), senza trovare qui la sua dimensione esistenziale.

Le sue aspirazioni artistiche si infrangono contro lo scoglio di “auto-rifiuto” dopo aver assistito nel ’23 ad una mostra Bauhaus, che la porterà al gesto estremo di dar fuoco alle sue tele espressioniste per poi consacrarsi anima e corpo al design.

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Il suo ingresso al Bauhaus, sotto la guida di László Moholy-Nagy, sarà segnato da questa lunga esperienza artistica e dalla sensibilità compositiva e formale maturata. Sotto la guida di László Moholy-Nagy, negli anni Venti l’Officina dei Metalli si era concentrata sulla collaborazione con l’industria, principalmente nel campo dell’illuminazione, cosa che contribuì al notevole successo del Bauhaus.

Marianne Brandt

Un punto di contatto che si ritroverà nella sua feconda produzione di oggettistica in metallo, nonché di rivoluzionarie lampade da interni. La fama contemporanea di Marianne Brandt svela l’anima di una designer- artista che continua a splendere ed ispirare talenti dei nostri giorni.

La sua storia alla scuola di Dessau ha inizio nel 1924 con l’iscrizione al corso propedeutico (Vorkurs) del visionario Moholy-Nagy; una giovane Marianne Brandt comincia i propri studi presso il laboratorio dei metalli – non particolarmente declinato al femminile – sotto la guida del maestro.  

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Il Workshop del Metallo le offrirà terreno fertile per sperimentare, diventando luogo di scoperta e dominio del materiale che saprà forgiare alla stregua di un nuovo Efesto. Le sue doti si impongono all’attenzione degli addetti ai lavori così come il suo gusto contraddistinto da un’impareggiabile eleganza che traghetterà l’artigianato verso la sponda sabbiosa del design industriale per una produzione di “massa”.

Il design delle sue inarrivabili teiere, l’indimenticabile collezione MT49 ancora in produzione da Alessi, è indissolubilmente legato da oltre un secolo non solo all’autrice – nota ad un ampio pubblico – ma allo spirito stesso che animava la scuola. Il suo motore produttivo e il metodo creativo esempio di scuola sperimentale, all’avanguardia, esplosiva per le energie che sapeva liberare e per il rapporto intimo che s’instaurava tra “maestri e discepoli”, vengono chiamati ed esempio ancora oggi – ispirazione per la recente Bauhaus revolution di matrice europea –  come l’immagine stessa del movimento di pensiero e azione.

Una teiera che ha fatto storia; il progetto affondava le sue radici nei criteri funzionalisti e razionalisti, principi comuni anche all’architettura di quel periodo storico. Nel campo del Design le linee geometriche e nette, erano pensate peri prodotti realizzati secondo nuove tecniche costruttive che dovevano incontrare i criteri della produzione in fabbrica e passare il ferreo esame dell’assemblaggio seriale. In questo senso tornava utile la forma modulare che teneva conto anche dell’aspetto ergonomico e per la prima volta nella storia, con particolare attenzione all’usabilità. Secondo questi nuovi principi si creavano oggetti innovativi, moderni, pensati per la quotidianità e la diffusione su larga scala.

Prima e unica donna ad accedere al regno “proibito” del laboratorio metallurgico del Bauhaus, luogo di lavoro e sperimentazione dove prendono forma prodotti e oggetti icone, tra cui la famosa teiera. Realizzati secondo il metodo di “imbutitura” (tipo di lavorazione a freddo che permette di realizzare prodotti cavi o concavi da lamiere imprimendo una deformazione plastica al metallo) e stampaggio industriale, ricavato da un unico foglio metallico; oggetti convessi calcolati con precisione millimetrica già dalla fase progettuale.

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Il fascino della teiera di Brandt risiede nella sua forma che rompe gli schemi del passato e della tradizione, dando voce ad un oggetto all’avanguardia – ergonomico – e specchio dei tempi. Tempi in cui i designer, così come gli architetti, tendevano a conciliare aspetti estetici e formali con le esigenze di carattere pratico, ergo, di uso quotidiano.

La teiera in sé è oggetto molto caro sia al Bauhaus che al Design Industriale, protagonista del rito quotidiano del tè che ha ispirato e continua ad ispirare vari aspetti e campi del disegno, già dall’antichità (chiedetelo ai fanatici collezionisti di teiere e dintorni a partire dai Vittoriani).

Trai i suoi progetti di design perfettamente compiuto, archetipo della nuova visione proiettata dalla scuola, è certamente quello della lampada da comodino (Kandem bedside Table Lamp) realizzata in collaborazione con lo studente Hin Bredendiek. Anche qui il risultato raggiunto è di perfetta armonia di forma e funzione, il felice incontro tra  aspettative del cliente ed esigenze produttive dell’industria; un oggetto iconico che pacifica forma e materiale. 

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Un ‘attenta dissezione anatomica dell’oggetto rivela un’estrema attenzione al dettaglio, comprensione tecnica e percezione delle esigenze sensoriali del fruitore; premesse necessarie ad una creazione che superi i vincoli della simmetria e della geometria alla base della teoria del Bauhaus. Un progetto pionieristico che posiziona Marianne nel firmamento dei grandi designer di tutti I tempi.

Fu merito della Brandt, della sua forza interpretativa e capacità di persuasione, se Körting & Mathiesen – azienda di Lipsia, meglio nota come Kandem – decise di stringere un accordo per la produzione di lampade in serie. Si apre così una nuova via per la produzione e commercializzazione dei prodotti, con somma soddisfazione dei designer. 

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I primi prodotti apparvero sul mercato intorno al 1927 oggetti come lampade da scrivania, tavolo, comodino, da parete e a stelo sono entrati a far parte dell’immaginario collettivo e nell’Empireo dei grandi classici del design  (un must per collezionisti e appassionati del periodo, sempre a caccia dei pezzi tuttora disponibili sotto forma di riedizioni).

La piccola, rivoluzionaria lampada da comodino, segna un cambio di tendenza dal design a soffitto verso l’illuminazione puntuale, mirata, definita anche “task lighting”, permise di sperimentare su diversi formati e dimensioni – da tavolo e da comodino – con stelo regolabile e campana collegati da un giunto sferico, e un interruttore a pulsante sulla base con campane capaci di offrire una dispersione uniforme della luce.


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