La Milano Design Week tra innovazione e ricerca, nostalgia e slanci ambientali.

Più che una manifestazione diffusa è un’attitudine, la capacità del sistema Milano di produrre paradigmi, strutturarli e poi declinarli in migliaia di meraviglie, non sempre e non tutte ovviamente ma è un po’ difficile scegliere tra millenovecento “proposte”.

I “soggetti e gli oggetti”, le installazioni e le spericolate forme di comunicazione, si susseguono nella “settimana del Mobile”, che in tutte le sue declinazioni diviene la celebrazione della sapienza del fare e della storia immutata dell’incontro intriso di magia tra produzione, progettazione e capacità di tendere all’unicità che probabilmente sono caratteristiche del genio italico.

Tra Posche 911 rosse, palazzi storici che si mettono essi stessi in mostra, David Lynch con la sua Thinking Room, troppe achi-star e archi-starlette e un occhio vigile alla sensibilità ambientale e all’attenzione materiale, il Design anche quest’anno ha vinto, senza dover far troppa fatica perché attrae e conosce bene come farsi amare dal mondo.

David Lynch thinking room

La città dunque si mostra per pochi giorni in tutto il suo splendore e i progettisti si misurano con gli spazi più prestigiosi della storia secolare che in qualche modo li ha prodotti, pensate ad Alessi che installa un drago dentro una fontana-metafora del lago d’Orta dove è nata l’azienda e ci schiude il mistero della creazione simbolica, ma soprattutto ci introduce al principio del “mito” che accompagna questa mitologia della cultura del progetto.

Ogni azienda piccola o grande gareggia in splendore e bellezza, che sia il Palazzo Visconti pieno di specchi per Flos, o il ristorante futurista, la penna d’oca per Listone Giordano, la sfilata congelata tra i suoi mobili etnici e nostalgici per Armani, oppure per un intero quartiere.

Come la Chinatown che per la prima volta rivendica legami, relazioni e volontà di confrontarsi come sistema globale, con la potenzialità incomparabile che la cultura cinese riesce ad esprimere.

Centro culturale Cinese, fabbrica del vapore e ADI design museum debuttano in Zona Sarpi con la sapiente e affettuosa regia di Michele Brunello e Luca Fois che dicono  ”il nostro tentativo è quello di attivare questa novità nella mappa della Milano design Week, uscendo dalla logica della “location” ma spostandoci verso una dimensione di progetto”.

Perché oramai l’originaria sede della Fiera ha fatto germogliare frutti succosi in tutta la città, e in molti luoghi storici del contesto che ha visto nascere questo fenomeno commerciale, culturale e imprenditoriale ormai solido e imprescindibile.

Giovani, vecchi, architetti e curiosi, scolaresche e intellettuali insieme per condividere questa festa, per raccontare una propria idea di bellezza condivisa e poliedrica, costosa o economica ma sicuramente un vanto dell’energia produttiva di questo strano paese, che nonostante tutto riesce a sorprendere anche i palati più raffinati.

Immaginate una condotta arancione che si articola, si snoda a grandezza naturale al centro della corte del palazzo dell’archivio di Stato in Via Senato, ancorata ad una base progettata, per separarla dal piano originario che corre, corre, fino a incontrare un wc di ultima generazione, tecnologico e disegnato, capace di raccontare quale segreto e quale magia tecnologica si nascondono dietro un semplice oggetto della nostra quotidianità.

Ecco che la MDW (come si dice) serve anche a spiegare questo sforzo titanico di tecnici, maestranze, esperti di marketing, pubblicitari per rendere questa eccellenza italiana, anche se ormai molto globalizzata e trasversale, un’esperienza irrinunciabile, come la musica, come il sole che splende nonostante tutto, sulla nostra primavera tardiva.

Ci mancheranno alcuni protagonisti (di cui abbiamo scritto su ONE) come Gaetano Pesce e Italo Rota, e naturalmente Mendini celebrato con la splendida mostra di Fulvio Irace alla Triennale, in nessuno di questi casi siamo stati sopraffatti, vista l’età, dalla nostalgia, perché questo è il design: la capacità di essere sempre altro, di vivere nel presente permanente.

Pensate al piccolo tabouret di Le Corbusier, nato per il Cabanon di Roquebrune, e diventato installazione da Bottega Veneta dopo settant’anni, sempre uguale, sempre diverso, cambiando materiali e fattura.

“Siamo di fronte alla fine di un’era, tra tecnologie in evoluzione, figure di riferimento che scompaiono, come Pesce e  Rota? “Mi stai chiedendo se sarò il prossimo? Sì!”  – ma non è la fine di un’era, è lo stesso contesto evolutivo in cui è nato: arriveranno altre persone, e l’aiuto dell’AI farà la differenza”. (Philippe Starck a Giovanni Comoglio di Domus).

Vorremo chiederci ma senza alcuna provocazione se l’AI sia o sarà meglio dell’intelligenza tout court, ma c’è tempo, intanto godiamoci l’Appartamento di Artemest, alla Residenza Vignale, voluto all’inizio del secolo da un Principe austriaco per stare vicino alla sua bella, un perfetto esempio di simbiosi estetica ed etica, tra antico e moderno, complice, come sempre, il cuore.

E tanti (troppi?) luoghi che si possono “vedere solo ora”, come la splendida Piscina Cozzi, un garage di Marco Zanuso, o la villa costruita nel 1943-45, da Osvaldo Borsani a Varedo (casa e bottega, nella Brianza Aurea).

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Nella spettacolarità allegra della festa del presente del futuro non potevano mancare, come dicevamo gli omaggi, sempre un po’ vintage, ai Castiglioni e alla loro idea di ”progetti per servire”, sul food and beverage, ancora di particolare interesse, ma è ovvio che la Milano contemporanea ammicca costantemente, guarda all’età d’oro dei grandi maestri.

Palazzi, quartieri, botteghe e gallerie, negozi di moda, ad esempio Gucci che ha mostrato i suoi primi oggetti di design, con il divano Le mura di Mario Bellini, disegnato nel 1972, e che volete che siano cinquant’anni, se l’idea scintillante del grande maestro continua ad ammaliarci?

Ecco bisognerebbe capire perché la nostra percezione del Pianeta Design, oscilla costantemente tra passato, presente e futuro senza soluzione di continuità e racconta storie che ci appartengono, appartengono a tutti, perché la bellezza ci aiuta, nonostante tutto a sopravvivere in qualunque contesto , in qualunque tempo, per regalarci quella modesta quantità di serenità necessaria.

Viva il design, allora, e lunga vita alla MILANO DESIGN WEEK.

“La bellezza non è che una promessa di felicità”.

Stendhal

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