Nuove forme e colori del vuoto: una mostra di teoria e pratica su spazio e tempo, tra arte e design
“Le vase donne une forme au vide, et la musique au silence“
“Il vaso dà una forma al vuoto, come la musica al silenzio“
Georges Braque, Le Jour et la Nuit, Cahiers 1917-47
Torno a scrivere del mio lavoro di progettista dopo un lungo periodo in cui ho preferito dedicarmi al racconto di quello che in questi tempi difficili avviene nel rapporto tra progetto e industria. Quanto più infatti risultano drammatiche le contraddizioni sociali ed economiche di un post-capitalismo in difficoltà, tanto più in Italia la discussione sul design e le sue finalità è povera, ristretta ad aspetti più o meno corporativi (il mercato, la domanda e l’offerta, la falsa antinomia analogico/digitale), quindi molto bisognosa di approfondimenti.
Oltre le ovvie questioni della crisi ambientale e della sostenibilità che della crisi è l’anticorpo, sembra dunque utile tornare a discutere del rapporto tra arte e industria, di cui da molti anni ho inteso occuparmi sia nel lavoro di progettista che in quello di scrittore sul progetto. È una relazione che alla fine degli anni Ottanta, quando con pochi altri – l’amico Alessandro Mendini – ne ho riproposto la centralità 1) per sviluppare in senso progressivo la cultura del design, poteva sembrare utopica o nostalgica: ma nel corso del tempo ha assunto un valore sempre più importante, per quanto riguarda la possibilità di praticare un metodo di lavoro alternativo al rapporto convenzionale progettista-industria.
L’occasione per scrivere ora nuovamente di arte e design è dunque la mostra realizzata a Milano con Gabi Faeh in questo ottobre 2019, nello spazio Arena di Listone Giordano e a cui ho pensato di dare il titolo “Nuove Forme e Colori del Vuoto”, ispirato a due riferimenti importanti. Uno è la frase di Georges Braque scritta nei suoi cahiers Le Jour et la Nuit: “Le vase donne une forme au vide, et la musique au silence” con cui Braque esalta le qualità spaziali e poetiche di un semplice oggetto quotidiano. L’altro riferimento è l’esposizione allestita negli anni ‘50 a Villa Olmo “Nuove forme e colori della casa d’oggi”, dove con la regia di Gio Ponti esposero i Castiglioni, Gardella, Zanuso, lo stesso Ponti e che è stata un punto di partenza molto significativo per il design italiano.
La mostra allo spazio Arena si presenta quindi come racconto di come è possibile dare nuove forme e colori al vuoto di cui parla Braque, a come congelare nello spazio l’idea stessa di oggetto in forme diverse. È questo lo sviluppo di una semplice idea originale, disegnare e produrre vasi per fiori – come abbiamo fatto dall’inizio degli anni Novanta con Gabi Faeh e le sue Edition – che col tempo sono diventati tutti insieme una vera e propria “collezione” di multipli. Contemporaneamente la mostra vuole essere anche un punto di partenza, una dichiarazione di “poetica dell’oggetto”, per dimostrare l’importanza della ricerca e della produzione indipendente in una possibile reinvenzione del design, non solo in Italia.
Nel caso delle Edition si è trattato di un incontro tra due autori con molti interessi comuni, che hanno partecipato alle vicende delle avanguardie di design degli anni Ottanta, come Studio Alchimia: e che da queste esperienze hanno tratto la lezione di un possibile modo di produrre in piccola serie “oggetti estetici”, con la collaborazione di artigiani molto esperti.
Le idee di nuove forme iniziano ad apparire subito, e nella prima mostra Another Private View tenuta a Milano nel 1993 sono presenti già quasi tutti i modelli di vasi da fiori da me disegnati e seguiti nella produzione per la ceramica da Gabi Faeh – mentre della realizzazione degli oggetti in metallo (argento, silverplate) mi sono occupato personalemente.
Le forme, molte delle quali reversibili, si basano sull’invenzione di altre possibilità di disporre i fiori: così che nel Conosfera, capovolgendo il vaso si possono mettere nel cono fiori più grandi, piccoli rami o, al contrario, nella sfera vanno bouquet di fiori più piccoli. Nella Spirale invece possono stare insieme fiori grandi o piccoli disposti lungo la curva interna della… scultura, stavo per scrivere, visto che si tratta di un pezzo realizzato in pochissimi esemplari, tre o quattro tutti leggermente diversi l’uno dall’altro, nella versione in ottone argentato come in quella di ceramica. Alle variazioni di forme si aggiungono le elaborazioni nei diversi materiali, prima il metallo, fino al vetro, soffiato e lavorato da maestri artigiani svizzeri che collaborano a trovare le soluzioni tecniche per la produzione. Di questa recente fase di passaggio alla realizzazione in vetro si occupa interamente Gabi Faeh, che pure lavora alla “destrutturazione” di alcune forme, per produrre altri tipi di vasi.
Anche se questa produzione (tutta raccolta nel catalogo 2) pubblicato da Fondazione Giordano in occasione della mostra) rimane e rimarrà sempre di piccola serie, o addirittura di pezzi unici, l’obiettivo è comunque rimasto quello iniziale: pensare alla possibilità di moltiplicazione dell’oggetto/opera, un’opera d’arte nell’epoca della sua producibilità tecnica, per parafrasare Walter Benjamin. 3)
Oggi certamente non è più motivo di scandalo che un oggetto possa avere un aspetto formale che lo avvicina all’opera d’arte: e, viceversa, che un’opera d’arte possa mimetizzarsi nelle sembianze di un oggetto. Ma pubblicare già nel 1987 un saggio e un catalogo di nuovi miei oggetti sotto il titolo Arte e Design per gli anni Novanta poteva sembrare davvero un azzardo. Non lo era invece, e i decenni successivi hanno dimostrato che un lavoro di qualità in questo difficile confine tra le due forme di espressione è sempre possibile. Per quanto mi riguarda ho cercato di dimostrarlo e mettere in pratica quest’idea con molti – quasi tutti – i progetti per cui si è presentata un’occasione di realizzazione, in diversi stadi, dal prototipo alla produzione di serie. I vasi per Edition Gabi Faeh hanno però senz’altro la “primogenitura” in questo senso, perché già alla loro prima apparizione contengono il seme dello sviluppo di un’intera, ricca collezione di forme, colori e materiali.
L’attesa del momento in cui si sarebbero incontrate l’ispirazione artistica di questa ricerca e quella imprenditoriale di alcune industrie non è durata molto. Già nel 1995 Oluce, un’azienda storica per il design italiano, ha messo in produzione la lampada Lu-Lu, derivata dalla forma del “Doppiocono”. A questo prodotto di grande serie, ancora oggi nel catalogo Oluce, seguono collaborazioni con altre aziende: fino al 2001 quando un’imprenditrice americana – Susan Spira Hakkarainen –– decide di fondare una piccola industria, la Ivalo, tutta dedicata all’illuminazione. Da lei ricevo l’incarico di progettare oltre che l’intera identità visiva (marchio, catalogo, sito web) anche il primo sistema di prodotti Ivalo. Questo prende il nome di Aliante. Si tratta di un sistema di lampade basato su una forma affusolata ancora pura, scultorea, per farne un oggetto iconico ben distinguibile nel vasto mare dell’illuminazione artificiale.
In parallelo, il ritorno alla rivista Domus dal 2000 al 2011 ,– che dirigo insieme a personalità come Deyan Sudjic o Alessandro Mendini, è l’occasione per verificare ancora l’attualità di un’utopia progettuale artistica. La rivista risulta così una specie di Gesamtkunstwerk (opera d’arte totale) su carta, che coinvolge centinaia di architetti, artisti, fotografi, designer e autori, a formare un repertorio gigantesco. Oltre cento numeri stampati, più decine di supplementi e alcuni libri, per centinaia di migliaia di pagine: il mio più esteso progetto di disegno industriale. In questo “grande fiume”, come in uno dei suoi ultimi scritti Mendini definisce Domus, piccole isole di meditazione sono i “Tondi”, una serie di mandala ispirati a miti antichi e contemporanei che disegno e realizzo in parte al vero, come tarsie di legno, in parte a stampa nelle pagine della rivista. Per arrivare poi all’ultimo progetto teorico-pratico, la rivista disegno. la nuova cultura industriale, ideata e realizzata con Paola Bellani. Qui all’idea di una nuova utopia del rapporto positivo tra progettisti/autori e industrie (che in alcuni casi, come Listone Giordano, permettono con il loro sostegno l’esistenza stessa della rivista) si unisce l’indagine sull’immagine, fotografia, illustrazione o arte che sia, come elemento d’ispirazione del progetto, teorico o funzionale…
Mi accorgo ora di aver divagato a lungo, o forse no: ho solo ripercorso un tracciato di idee e progetti, un sentiero metafisico che ne incrocia molti altri e che insieme conducono all’oggi, ai giorni in cui è aperta la mostra nello spazio Arena di Listone Giordano. Questo è stato ripensato per la mostra Nuove Forme e Colori del Vuoto come una galleria di idee, dove trascorrono velocemente molti anni, anzi decenni, in cui le forme originali – Conosfera, Doppio Cono, Spirale – si sono trasformate, decostruite, moltiplicate in altre forme e materiali diversi.
Accompagnano i vasi da fiori alcuni miei progetti e oggetti che fanno da corollario al teorema su arte e design di cui i vasi sono la dimostrazione: disegni per fontane, schizzi per lampade e ancora vere lampade (almeno due, Lu-Lu e San Giorgio), le riviste disegno e Domus, prototipi non ancora prodotti, fotografie passate e recentissime opera di amici di lunga data come Mario Ermoli o Susana Bruell, trasformate in tableaux vivants con la tecnica della stampa su tela, incorniciata in box di legno che li fanno sembrare un po’ delle colorate icone da altare.
Se questi nostri progetti e oggetti hanno dunque ancora significato positivo nella cultura di un disegno (inteso anche come piano, programma) industriale, sono ancora valide oggi, dopo quasi trent’anni, le idee da cui siamo partiti: alla ricerca di una nuova interazione tra espressione e progetto, o, più semplicemente e popolarmente, arte e design.
E se il tempo è circolare, come certa letteratura racconta e la fisica teorica più recente non esclude, forse è vero non solo che, come dice Braque, “Il vaso dà una forma al vuoto”: ma in più il lungo lavoro che abbiamo fatto su questi oggetti da meditazione, su queste icone del contenere la natura, con la sua lunga durata ha aggiunto allo spazio tridimensionale proprio la quarta dimensione che i Cubisti avrebbero voluto. Quel tempo che tutto sembra trascinare via, ma che invece lascia dietro di sé una scia di cose, di oggetti che continuiamo a usare, a custodire, a tenere cari: come questi semplici, geometrici, astratti eppure solidi, vasi da fiori.
1) Stefano Casciani, a cura di, S.A.D. Arte e Design per gli anni 90. Kunst und Design für die 90 Jahre; con un testo di Alessandro Mendini. Campanotto Editore, 1987
2) Stefano Casciani, a cura di, Stefano Casciani + Gabi Faeh. Nuove Forme e Colori del Vuoto. Progetti e oggetti per Edition Gabi Faeh 1993/2019, Fondazione Guglielmo Giordano 2019
3) W. Benjamin, Das Kunstwerk im Zeitalter seiner technischen Reproduzierbarkeit,
Zeitschrift für Sozialforschung, 1936 (L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, Einaudi 1966)
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