Le preziose maioliche di Michele De Lucchi in esposizione permanente alla Fondazione Guglielmo Giordano

E’ interessante fare un passo indietro, dare spazio alla memoria per ricordare un passo di Heidegger – in “Das Ding” – nel quale si avvicina al tema della Cosa a partire dalla metafora del vaso.
L’artigiano, attraverso la sua opera, è proteso a ritagliare un confine, creando ex nihilo uno spazio in quanto vuoto e potenzialmente pieno allo stesso tempo, dividendo il dentro dal fuori, mettendo in comunicazione l’interno con l’esterno. Ciò che fa, senza esserne pienamente cosciente, è ritagliare un limite, un confine, un lembo di spazio.

Biennale di Architettura
Padiglione Italia per la 13a edizione della Biennale di Architettura

Questa collezione irripetibile, composta di pezzi unici, ed esposta per la prima volta nel Padiglione Italia per la 13a edizione della Biennale di Architettura, ha costituito l’occasione per approfondire il rapporto tra cultura e impresa, tra la conoscenza progettuale disciplinare e la conoscenza del saper fare; forme e decori sperimentali progettati dall’architetto Michele De Lucchi e realizzati dalla Ditta Ubaldo Grazia maioliche artistiche di Deruta.

Gli schizzi di Michele De Lucchi

Questi vasi si ergono a stemma araldico del design, dell’artigianato e della cultura del progetto impressa nel sapere fare autenticamente Made in Umbria; nato qualche anno fa come progetto sperimentale, rimane a tutt’oggi testimonianza vitale di questo virtuoso paradigma. 

Partendo dalla tradizione rinascimentale del vasellame tornito a mano, ancora miracolosamente perpetuata nel borgo umbro di Deruta, il design attualizza le forme portando la modernità intrinseca al pensiero progettuale di un grande maestro italiano come Michele De Lucchi. Fondi e decori, sono realizzati con colori che esulano dalla tavolozza tradizionale delle maioliche, ma sono creati in quadricromia al computer e poi prodotti in uno dei laboratori più antichi di Deruta.

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Le minute opere ipostatizzano il ruolo vitale dell’artigianato italiano di fronte alle incombenti sfide della globalizzazione, grazie all’incontro virtuoso con il design e un maestro d’eccezione quale Michele De Lucchi, portatore sano d’infinita pazienza,  passione per la materia ed esperienza sul campo.  La cultura del progetto, come fonte primaria di alimentazione delle produzioni artigianali, ha come compagno di viaggio il valore della personalizzazione e dell’unicità.

Gli schizzi di Michele De Lucchi

Il rapporto bidirezionale diventa scambio attivo di competenze distintive tra Artigianato e Industria; il primo si presta come luogo privilegiato di ricerca e l’innovazione, la seconda è espressione dei comparti più importanti della nostra economia.

La Fondazione Giordano ospita orgogliosamente all’interno delle sue stanze la collezione di vasi in maiolica creata dalla genialità dell’uomo, in piena sintonia con lo spirito Natural Genius che da sempre l’alimenta, in uno dei laboratori più antichi di Deruta.

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«Deruta – ci aveva confessato Michele De Lucchi i – è una scoperta di conoscenze antica, di manipolazione della materia e di tentativi, anche sbagliati. Ho cercato di accostare la mia ricerca alla produzione tradizionale, di capire quali sono le cose che si fanno a Deruta per poterne fare altre diverse. Nel corso dei secoli qui sono state fatte esperienze straordinarie con maioliche lucide e non. Un po’ di cose le ho trovate ed ho cercato di usarle da volano per questa mostra».

«A Deruta –sottolinea – c’è una grande abilità di fare le cose a mano. La sperimentazione e l’innovazione viene dalle mani e non dalle macchine. In quest’ottica i piccoli laboratori sono ideali per realizzare prototipi per l’industria. Nei piccoli se si sbaglia si ripara subito. Nella grande industria questo non è possibile perché comporta una grande perdita di denaro». In merito ai vasi  realizzati per la mostra, Michele De Lucchi ha affermato: «Sono molto tradizionali perché penso che le maioliche di Deruta siano straordinarie».

Un lungo e complesso lavoro di ricerca alle spalle, arricchito dalla grazie e dal talento della pittrice di origine irlandese Carol Brannigan, che si è cimentata con la tridimensionalità dell’oggetto spaziando tra la materia che scivola tra le dita e quella “immateriale” che ci circonda: la luce., anche se l’ombra presente sembra voler reclamare la propria identità, sta a dire che la luce è materia.

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I “magnifici sette” vasi hanno incontrato, senza alcun timore, sul loro cammino la tecnologia  contemporanea; i modelli sono stati creati, infatti, in quadricromia al computer e poi forgiati manualmente (secondo antiche tecniche conosciute dall’homo faber e gelosamente custodite fin dai tempi remoti) soffiando magia in una materia “povera”.

La materia prima è l’argilla, estratta dai fiumi umbri da cui derivano i nomi dei vasi: Ventia, Nese, Maroggia, Tescio, Nestore,  Seano e Genna. Pensata, progettata e disegnata con spirito di innovazione, la collezione di maioliche dimostra che il design può aprirsi ad un dialogo fertile, non soltanto con l’industria,  ma con l’artigianato, rendendolo così in grado di recuperare creativamente le competenze artigiane e il savoir faire tutto italiano.

I vasi segretamente custoditi dalla Fondazione Guglielmo Giordano si inscrivono nell’ambito più vasto della ricerca che Michele De Lucchi porta avanti con coraggio con Produzione Privata, il marchio che ha fondato nel 1990 nell’intento visionario di sviluppare progetti seriali impiegando le tecniche artigianali “a rischio estinzione” ancora praticate nelle riserve protette dei distretti produttivi italiani.

L’impegno personale di Michele De Lucchi a percorrere questo cammino di Santiago della sperimentazione potrebbe avere, come benefico effetto collaterale, quello di far crescere in ognuno di noi la consapevolezza del patrimonio di ricchezza che il nostro paese possiede, immagine riflessa nello specchio dell’anima: genio e naturalezza. 

Le maioliche di Michele De Lucchi

Una piccola curiosità, o un segno del destino, l’evoluzione del design di Michele De Lucchi dopo la conclusione dell’esperienza del Gruppo Memphis prende la forma del “si tratta del Vaso Bianco, un oggetto che segnò l’inizio di un lungo percorso di sperimentazione sul design e che avviò il dialogo costante con le maestranze artigiane in Italia”.

La passione di Michele De Lucchi per la ceramica nacque ai tempi del gruppo Memphis, un collettivo di artisti e designers che negli anni ‘80 emerse come uno dei massimi esponenti della scena postmodernista.
Iniziò a disegnare vasi per sé stesso, dopo che il suo maestro Ettore Sottsass decise di chiudere il gruppo Memphis si sentì abbandonato, con molte idee ma senza i mezzi per esprimere la propria creatività. Alla fine degli anni Ottanta decise comunque di seguire la sua passione per un materiale per lui speciale: la ceramica.

Già nel 1987 Michele disegnava vasi bianchi con decori in bianco e nero. L’uso di questi due colori contraddistingueva all’epoca sia la produzione, sia l’immagine coordinata dello studio. La sua personale ricerca su questo tipo di decorazioni si applicava ai gioielli, alle grafiche, alle collezioni di abiti di alta moda e, soprattutto, ai vasi.

Si ringrazia archive AMDL


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