I ponti esistono da migliaia di anni, essenziali per l’attraversamento dei corsi d’acqua e per il trasporto delle merci. I ponti sono realizzati con vari materiali, tra cui legno, pietra e acciaio. Ma nello stato indiano di Meghalaya, i ponti sono vivi e vegeti (è proprio il caso dirlo) e sono fatti di alberi vivi. Le persone del luogo li formano lentamente in ponti sospesi che attraversano un terreno inospitale.
Il nome di questa arte è jingkieng jri, ed è una forma d’arte che esiste da molte generazioni. I rami dell’albero vengono intrecciati e formati in passerelle, e col tempo, i loro rami crescono e si uniscono, creando strutture di ponte estremamente resistnti che vengono utilizzate dagli abitanti del villaggio. Questi ponti sono una testimonianza dell’incredibile ingegnosità degli abitati della zona e dell’incredibile della capacità della natura nel creare strutture viventi.
La tecnica del jingkieng jri non nasce dal nulla, ma affonda le sue radici nella mitologia locale. La storia racconta che all’alba dei tempi, c’erano sedici tribù primordiali che vivevano con il loro creatore nella dimora celeste, il regno delle nuvole. Un bel giorno, uno di questi uomini guardando in basso scoprì un paradiso rigoglioso, pieno di cascate incantevoli, giungle lussureggianti e cibo abbondante. Allora l’uomo chiese al creatore di concepire il jingkiengjriksiar, un mitico “ponte d’oro” formato da un albero maestoso che collegava i due mondi, e si trasferì con alcuni coloni umani in questa terra idilliaca.
Questo è il tipo di storia che Hally War sentiva da piccolo mentre cresceva nel nord-est dell’India, accoccolato con i suoi fratelli intorno al fuoco durante le lunghe notti fredde. War, ora un contadino di 68 anni del villaggio di Siej, appartiene alla tribù Khasi per la quale il concetto di ponte di radici è molto più di una semplice leggenda fondativa.
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Per centinaia di anni, il suo popolo non ha costruito ponti, ma li ha coltivati. I jingkieng jri, come sono conosciuti localmente i ponti di radici viventi, sembrano essere usciti direttamente dall’immaginazione di Tolkien. Le radici aeree intrecciate creano un’atmosfera fiabesca pervasiva, sembrando collegare mito e realtà, passato e futuro piuttosto che i due lati del fiume.
Inizialmente, i ponti sono stati creati per motivi pragmatici, come strategia di adattamento all’ambiente difficile. Le colline Khasi meridionali, nello stato indiano del Meghalaya, sperimentano le piogge più abbondanti del mondo per più di sei mesi all’anno. Un ponte convenzionale di bambù o legno sarebbe stato rapidamente spazzato via.
Il popolo Khasi ha inventato l’arte di intrecciare le radici del Ficus elastica, una specie di albero di fico, finché insieme non diventano abbastanza forti da formare un ponte. Questi ponti diventano più forti ogni anno finché l’albero è vivo; si stima che alcuni ponti possano reggere fino a 50 persone.
Rendendosi conto di quanto sia straordinario questo esempio di architettura botanica tribale, l’India ha presentato una proposta nel 2022 per l’inclusione dei ponti tra i siti del Patrimonio Mondiale dell’UNESCO. Il paese spera che tale designazione aiuti a proteggere 72 diversi ponti viventi e altre strutture simili in tutto il Meghalaya. I proponenti descrivono ciascuna struttura di radici viventi come un percorso che rappresenta l’apice del rapporto uomo-pianta e una svolta notevole nel design e nell’ingegneria basati sulla natura, contribuendo anche all’ecologia attraverso la riparazione delle foreste e delle rive dei fiumi.
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La minaccia più grande per l’esistenza di queste strutture, non sono le persone negligenti che sollecitano parti del ponte ancora acerbe, ma il passare del tempo. L’arte di intrecciare e preservare i ponti di radici viventi sta lentamente scomparendo. Al di fuori delle aree turistiche, i villaggi spesso non vedono alcuna ragione pratica per fare l’investimento intergenerazionale in tali strutture, e stanno abbandonando la costruzione e la manutenzione di questi ponti del tutto.
Recentemente, alcune persone e organizzazioni hanno iniziato a promuovere la conservazione dei ponti di radici viventi. Ma War ha iniziato questa missione molto tempo fa: “Questo ponte è lo scopo della mia vita. Lo sogno giorno e notte; è diventato una parte di me. Continuerò a lavorare su questo ponte finché riuscirò a stare in piedi, e continuerò a insegnare ai miei figli e nipoti così che possano continuare il mio lavoro una volta che non ci sarò più. E pianterò io stesso un seme del diengjri, così che un giorno qualcuno dei miei discendenti possa far crescere un ponte quando sarà il momento giusto.”
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