Vittorio Peretto, nato a Milano, in una famiglia che si tramanda dai tempi del bisnonno giardiniere in una villa neoclassica di Valdagno (Vi), delle piante di Convallaria japonica. Una sorta di testimone vegetale, erbaceo, secolare, passato di padri in figli senza interruzioni fino all’attuale quinta generazione.
In dieci pagine tracciate in punta di matita con piccoli disegni, e il tratto di scrittura sicuro e pieno di grazia, l’Autore ci consegna un minuscolo e profondo trattato sull’essenza stessa del “fare giardino, del fare paesaggio”, da Originalità-Eredità, passando per lontananza fino a comunicazione-contaminazione, un viaggio pieno di stupori, denso e circostanziato.
Da molto tempo non leggevamo con tale emozione un testo, che è al contempo viaggio di formazione e pausa di riflessione.
Peretto ci racconta in poche parole quanto sia una forma di benessere psico-fisico, avere la fortuna e la piacevolezza di guardare (e forse essere guardati) da ogni essenza naturale, vivente.
“Ieri mi sono comportata male nel cosmo – Ho passato tutto il giorno senza fare domande, senza stupirmi di niente”.
Wislawa Szymborska
Respiro silenzioso del mondo, compagne delle nostra evoluzione umana e della ricerca per il futuro, nella lentezza, premio e dono presente in ogni condizione ambientale che coinvolga gli esseri umani, tutti.
“La bellezza definisce le ambizioni dello spazio”.
V.Peretto
“Il giardino è il luogo dove leggere il futuro e sperimentare come meglio affrontarlo”.
Gilles Clement
In queste poche pagine si legge la passione e l’impegno dell’autore per la creazione di luoghi migliori, dove architettura e paesaggio possano finalmente convivere in uno stato di perenne scambio antropologico, in un percorso etico significativo e irrinunciabile, fino a trovare quella libertà dove l’esperienza umana raggiunge il suo punto alto.
Devo anche riconoscere la totale assenza di retorica e di facile accettazione dei percorsi più alla moda di Peretto, una visione laterale, non manieristica, non estetizzante o facile da metabolizzare, in queste righe non a caso vergate a mano, c’è l’invito a guardarsi dentro per poi poter modificare quello che c’è fuori, intorno a noi, e in questa crasi si raggiunge la perfetta sintesi di cui la contemporaneità e l’antropocene hanno bisogno.
Ecco l’attualità di questa boccata d’aria fresca, cristallina, balsamica, ed infatti Peretto afferma senza difficoltà che “in natura tutto ha una logica”, e come dargli torto, se ci invita a guardare al mondo con occhi meno velati dalla nebbia costante, che non ci fa godere delle meraviglie che abbiamo ricevuto in dono (ancora per poco), senza avere alcun merito, anzi attaccando i paesaggi solo per violentarli, distruggerli, renderli insopportabilmente artificiali.
Qui le trame ordite dall’architettura moderna e contemporanea si intravedono tutte, un processo di sostituzione tra naturalità e artificio che ha impedito ai fruitori della “città dell’adesso, istantanea”, di mantenere almeno la nostalgia del paesaggio, come se fosse una contraddizione in termini con la teorizzazione del progetto urbano attuale.
I drammi epocali del pianeta hanno cominciato a farci riflettere su alcuni argomenti che non sono mai stati attuali come negli ultimi venti o trent’anni,” il paesaggio tutto contiene e tutto trattiene scritto” afferma Martin Pollack, e queste ferite sono difficili da sanare, se non troviamo le cure adatte.
Questo breve saggio, unitamente all’opera di qualche decennio di Peretto ci indica una soluzione, ci chiede, e lo chiede agli architetti, quell’attenzione che è mancata nell’affrontare i temi urgenti, grandi e piccoli, e ci chiede ad ogni rigo del suo testo di coltivare nuove meraviglie, in un progetto di vera e beuysiana “difesa della natura”, prima che sia troppo tardi.
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Queste “libere riflessioni sulla libertà del giardino”, è una lettura che toglie l’ansia e produce comunque una qualche forma di serenità, che si esplicita nelle pagine bianche che sono lasciate al lettore affinché le riempia di qualche idea, di qualche silenzio, di qualche nota, insomma la parola fine è ancora lungi dall’essere scritta ma, questo non ci impedisce, di continuare ad ascoltare il silenzio frenetico del grande giardino che ci circonda.
”Lentamente muore chi percorre sempre le stesse strade” .
Marta Medeiros
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